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Il malum che fa bene!!


Puoi entrare in una popina illuminata solo da alcuni funalia oppure scegliere una caupona poco accogliente ma familiare o ancora essere invitato a sdraiarti sul triclinium di una ricca domus e non mancheranno mai …mala sulle pareti vivacemente affrescate, sul pavimento in singolari arazzi, ma soprattutto a tavola, cena comensa (a festa finita).
A proposito di inviti ad prandium, è bene sapere che nel periodo arcaico i pasti principali erano in sostanza due, costituiti principalmente da cereali.
Solo col passare degli anni si diffonde una vera e propria passione per l’arte culinaria e di conseguenza i cibi diventano più appetitosi ed elaborati.
Le pietanze più ricercate e costose erano in realtà consumate soprattutto nell’ambito dei symposia (banchetti) tra le famiglie patrizie.
Oltre a queste occasioni speciali i pasti principali della giornata erano tre:
Ientaculum (colazione) a base di pane condito con sale e vino, unito a miele, olive e formaggi nelle famiglie più facoltose; pane inzuppato nel latte o nel vino per quelle più povere;
Prandium (pranzo di mezzogiorno) simile ad uno spuntino veloce e leggero;
Cena, vero e proprio pasto della giornata che nelle famiglie comuni era scarno e breve, mentre in quelle patrizie si trasformava spesso negli spettacolari symposia prima citati.

La mela faceva il suo ingresso nell’ ultima parte del banchetto, chiamata commissatio.
Da qui deriva il detto latino “ ab ovo usque malum ovvero “ dall’ uovo alla mela”:
infatti secondo il poeta Orazio, che annota questa massima in uno dei suoi testi nel 100 a.C., il banchetto ideale deve iniziare con le uova e finire con le mele.
Rappresentano davvero il fine pasto ideale e non solo per le loro proprietà digestive e per il loro gusto fresco e dolce: le mele sono state sempre considerate dei frutti afrodisiaci e a loro sono sempre state attribuite tutta una serie di connotazioni sessuali.
Fin dal mondo latino la mela è stata il simbolo per eccellenza della femminilità associata alla dea Venere.
Questa associazione è forse dovuta alla sezione verticale di una mela, in cui si può scorgere una somiglianza con sistema genitale femminile, mentre in quella orizzontale si può riconoscere una stella a cinque punte assolutamente simmetrica, simbolo della rivelazione di ciò che è giusto e di ciò che non lo è.
Non per niente la traduzione latina di mela corrisponde a malum che nella stessa lingua significa male.




Varietà e conservazione delle mele nell'antica Roma


Le origini della mela risalgono al continente asiatico. Alcune delle sue tracce più antiche si riscontrano nella valle del Nilo ai tempi del faraone Ramses ll (Xll secolo a.c.).
La mela giunge quindi in Grecia nel 700 a.c. circa, per poi raggiungere la penisola italica e Roma all’ incirca nello stesso periodo.
Per la sua forma compatta e la sua leggerezza la mela diventerà quindi il frutto preferito dei legionari, che la riterranno ideale da consumare durante gli spostamenti e la diffonderanno quindi in ogni angolo dell’ impero, fino alla Francia e all’ Inghilterra.
Per quanto riguarda l’ Italia, Orazio arriva ad affermare in suo testo del 100 a.c. che il nostro paese era” un unico e grande frutteto”.
Una testimonianza di questo fatto è la creazione della mela “maziana” in Friuli. I Romani avevano infatti compreso che in questa regione erano presenti delle condizioni climatiche ideali per la coltivazione di mele di qualità.
La prima mela autoctona friulana venne denominata in questo modo (maziana) da Caio Mazio, uno dei principali artefici della fondazione della campagna aquileiese. Una delle prime testimonianze di questa particolare mela ci viene data da un mosaico pavimentale situato proprio ad Aquleia: l’ Asaraton.




Svetonio, poi, racconta che Domiziano la sera amava mangiare solo una mela maziana e un po’ di bevanda in un’ampolla: “quotiens otium esset, tempus terebat omnibus oblectamentis quae malebat, nam alea se oblectabat, etiam profestis diebus matutinusque horis, ac lavabat de die prandebatque ad satietatem, ut non temere super cenam praeter matianum malum et modicam in ampulla potiunculam sumeret.”




Ma la mela maziana non era l’unica varietà di questo famosissimo frutto nell’antica Roma; ce n’erano davvero moltissime: l’amerina (dalla località sabina di provenienza Ameria); la camerina (dal paese Camerino); la crustumina (da Crustumium); l’epirotica (dall’Epiro); l’annurca (conosciuta ancora oggi); la graecula (dalla Grecia); la mordiana (da Mordio); la pelusiana (dal delta del Nilo); la siduntia (da Corinto); la orbiculata e la rotunda (definite in questo modo per la loro forma sferica); la purpurea e la siria (per il loro colore quasi tendente al violaceo). Altre qualità dai nomi indimenticabili sono:
• La mela appia = questa mela deve il suo unico nome a un certo rerum rusticarum peritissimus , Appio della gens Claudia, che innestando la verietà del melocotogno su quella del melo scudiano ottenne questa nuova appetitosa mela, che si dice fosse addirittura in grado di maturare al gelo.
• La mela del paradiso (paradisi malum) = questa mela ‘angelica’ è nata probabilmente in forma spontanea in Armenia. Essa è stata apprezzata e utilizzata soprattutto in epoca tardo-imperiale e durante il Medioevo. Generalmente si presenta con una forma davvero particolare, lungo-conica con una strozzatura nella parte inferiore che la rende simile ad una pera rovesciata; il suo colore è giallo pallido tendente al verde con una sfumatura tanto rosata sul lato quanto le guance di un angelo.
• La mela rosa = si tratta di una varietà molto antica forse derivata dalla orbiculata romana. La sua particolarità sta nel colore della buccia, che presenta una macchia rubea dalla parte dove prende il sole.
Per poter gustare tutto l’anno queste deliziose varietà, i Romani escogitarono un particolare sistema di conservazione. Ce ne parla alla perfezione Apicio nel suo De re coquinaria :
“(…)Si fructus oleraque diu servare vultis, haec praecepta Apicii, clari romani coqui, attente legite. Ut mala et mala granata diu durent, in aquam calidam ferventem paulisper merge et statim suspende. Ut mala cydonia serves, lege mala integra cum ramulis foliisque, in vasa repone et melle suffunde: diu durabunt.(…)”
“Se volete conservare a lungo frutta e verdura, leggete attentamente questi precetti di Apicio, famoso cuoco romano. Affinché mele e melagrani si conservino a lungo, immergili per un po’ nell’acqua bollente, e subito dopo tirali fuori. Per conservare le mele cotogne, cogli mele genuine insieme con ramoscelli e foglie, mettile in otri e cospargile con del miele: si conserveranno a lungo.”
Furono poi scritti diversi manuali su come mantenere la frutta fresca. In particolare per la mela esisteva una stanza apposita chiamata pomarium; ma il metodo più efficace secondo molti era invece quello di porre il frutto in un contenitore (preferibilmente di faggio o di tiglio) ermeticamente chiuso e sotterrato nella sabbia.
Ci testimonia quest’ultima tecnica anche Columella (I sec. d.C.) che afferma:
“Molti, come fanno con le melagrane, conservano le mele cotogne (cydonia) in fosse o in giare.
Parecchi le avvolgono in foglie di fico poi impastano creta da vasai con morchia e ne spalmano le melagrane; quando la creta è seccata le collocano su un tavolato in un luogo fresco ed asciutto.
Molti le mettono in piatti nuovi e le ricoprono con gesso secco in modo che non si tocchino. Noi non abbiamo sperimentato altro metodo più sicuro di questo: si raccolgono le mele cotogne molto mature, sane, senza alcun difetto quando il cielo è sereno e la luna calante, dopo averle pulite della lanugine che c’è sul frutto si dispongono in un fiasco dall’imboccatura molto larga delicatamente e senza esercitare pressione in modo che non possano urtare fra loro.
Poi quando si è raggiunto l’orlo del contenitore si bloccano mettendo di traverso ramoscelli di vimini in modo che le comprimano moderatamente e che esse non possano sollevarsi quando verrà aggiunto il liquido. A quel punto si riempie il contenitore fino alla sommità di miele quanto più possibile di qualità e liquido fino a che i frutti sono totalmente sommersi.
Questa procedura non solo le conserva ma conferisce al liquido un sapore di vino cotto che senza alcuna controindicazione può essere somministrato ai febbricitanti e che si chiama miele di frutta (melomeli).
Bisogna guardarsi dal conservare col miele mele cotogne non mature, poiché induriscono a tal punto che sono inutilizzabili.
È assolutamente inutile, poi, come molti fanno ritenendo che il frutto si guasti, spaccarle con un coltello di osso e togliere i semi; anzi, la procedura che poco prima ho illustrato è sicura a tal punto che, anche se c’è il verme, cessano di guastarsi quando si versa il liquido di cui ho parlato; infatti il miele ha la proprietà di frenare la corruzione e di non consentire che essa si propaghi; non a caso conserva intatto anche un cadavere per moltissimi anni”.
( De re rustica,Columella, V, 10 e XII, 47. Tradotto dal testo originale dell’edizione a cura di G. Schneider, Antonelli, Venezia, 1846, pagg. 335 e 775-777).

Riprendendo i concetti già espressi da Columella, Palladio Rutilio Tauro Emiliano (IV secolo D. C.) afferma:
“A febbraio si innestano i meli cotogni, meglio nel tronco che sulla corteccia … le mele cotogne vanno raccolte mature e conservate così: o poste tra due tegole se sono spalmate da ogni parte di fango o cotte nel mosto o nel vino passito.
Altri conservano le più grosse avvolte in foglie di fico. Altri le mettono semplicemente in un luogo asciutto al riparo dal vento.
Altri, dopo averle divise in quattro parti ed eliminato con una canna o con un attrezzo d’avorio la parte centrale, le mettono in un vaso di creta e le coprono di miele.
Altri le mettono intere nel miele e per questa conservazione conviene sceglierle sufficientemente mature.
Altri le coprono di miglio o le conservano separate da paglia. Altri le mettono in piccoli vasi pieni di ottimo vino oppure per conservarle preparano una mistura di vino o di mosto cotto. Altri le chiudono nei contenitori pieni di mosto, il che rende profumato anche il vino.
Altri le chiudono in una padella di creta separate l’una dall’altra e la sigillano con gesso secco”.
(De re rustica, III. Tradotto dal testo originale dell’edizione Les agronomes latins a cura di M. Nisard, Dubocher, Le Chevalier & C., Parigi, 1851, pag. 573).







Ricette e Utilizzi vari


Lasciamoci tentare ora da un viaggio nei cinque sensi romani, a partire dal gustus.
E' sempre Apicio che ci tramanda molte ricette che prevedevano l’utilizzo della mela.
In particolare la mela maziana di cui abbiamo parlato in precedenza veniva impiegata in maniera davvero originale nella preparazione salata del maiale con le mele:
Minutal Matianum
Adicies in caccabum oleum, liquamen, cocturam, concides porrum, coriandrum esicia minuta. Spatulam porcinam coctam tessellatim concides cum sua sibi tergila.Facies ut simul cquantur. Media coctura mala Matiana purgata intrinsecus, concisa tessellatim mittes. Dum coquitur, teres piper, cuminum, coriandrum viridem vel semen, mentam, laseris radicem, soffundes acetum, mel, liquamen, defritum modice et ius de suo sibi, aceto modico temperabis. Facies ut ferveat. Cum ferbuerit, tractam confriges et ex ea obligas, piper asparges et inferes.
Metti in tegame olio, salsa, brodo, taglia dei porri, del coriandolo e piccole salsicce. Taglia a dadi la spalla cotta di porco con la sua cotenna. Fai in modo che tutto cuocia. A mezza cottura, unisci mele maziane pulite e tagliate a dadi; trita il pepe, il cumino, il coriandolo verde, la menta la radice di silfio, bagna con aceto, miele, salsa, e poco mosto cotto e il suo stesso sugo ; uniscivi poco aceto. Fai bollire. Corspargi di pepe e servi.
I Romani erano poi famosi per la loro passione per le salse, una tra le tante ottima sul dentice arrosto prevedeva l’utilizzo delle mele cotogne :
Ius in dentice asso
(..) “Piper, ligusticum, coriandrum, mentam, rutam aridam, malum Cydonium coctum, mel, vinum, liquamen, oleum.Calefacies, amulo obligabis(…)”
Pepe, ligustico, coriandolo, menta, ruta secca, mele cotogne cotte, miele, vino, garum,olio. Scalderai , legherai con amido.
Pur non conoscendo lo zucchero, possedevano comunque un vasto repertorio di dolci. Le mele naturalmente, come oggi, erano spesso uno degli ingredienti principali.
Patina de malis
(..) “mala elixa et purgata e medio teres cum pipere, cumino, passo, liquamine, oleo modico. Ovis missis patinam facies, piper super asperges et inferes.(…)”
Triterai le mele lessate ripulite al centro con pepe, cumino, miele, vino passito, garum e un po' d'olio. Dopo avervi aggiunto uova, farai una torta, la cospargerai di pepe e la servirai.

Ecco la nostra realizzazione:

 



I Romani conoscevano poi molto bene il sorbus, un particolare tipo di mela dalla forma piccola ed ovoidale. Lo troviamo in una ricetta sempre salata di Plinio il Vecchio:
• Piatto caldo di sorbe
(..) “Prendi delle sorbe, puliscile, pestale nel mortaio e passale alla staccio. Snerva quattro cervella scottate, mettile nel mortaio con una decina di grani di pepe, bagna di salsa e pesta. Aggiungi le sorbe e amalgama, rompi otto uova, ggiungi una tazza di salsa. Ungi una padella pulita e mettila sulla brace. Quando sarà cotta cospargi di pepe tritato fine e servi.(…)”.
Non dobbiamo però pensare che la mela venisse solo mangiata.
Chiudiamo, quindi, gli occhi e attiviamo pienamente il nostro odoratus per abbandonarci ad una straordinaria esperienza olfattiva: la mela, infatti, veniva utilizzata anche per realizzare unguenti e profumi. I Romani non conoscevano il sapone e facevano largo uso di questi preparati, che erano solidi poiché l’alcool non era ancora stato distillato. Di solito lo usavano i balneatores (gli schiavi "bagnini" delle terme).
Originariamente l’uso del profumo era limitato alla funzione sacrale, peraltro importantissima, come ci testimonia l’etimo della parola stessa: per fumum, cioè attraverso il fumo, mezzo privilegiato per mettersi in contatto con gli dei.
Uno dei profumi più utilizzati era il melinum: in esso si combinava la fragranza particolare dell’ olio melino estratto dalle mele cotogne con l’ agresto, l’olio di henna, l’ olio di sesamo, balsamo , giunco profumato, cannella e abrotano.
La testimonianza di questo profumo proviene da Plinio il Vecchio, nel XIII libro del suo de naturalis historia.
• (..)“e malis quoque cotoneis et strutheis fit oleum, ut dicemus, melinum, quod in unguenta transit admixtis omphacio, cyprino, sesamino, balsamo, iunco, casia, habrotono capit. (…)”
Sempre Plinio il Vecchio ci porta nella taberna medica per farci scoprire altri utili utilizzi della mela: “Le varietà di mele hanno molti impieghi medicinali. Quelle che maturano in primavera sono aspre e nocive allo stomaco, agitando il ventre e la vescica, nuocciono ai tendini. Cotte sono più proficue. Le mele cotogne sono invece più benefiche se cotte; crude tuttavia, purchè mature, giovano alla dissenteria, alle affezioni biliari e al morbo celiaco. Non hanno uguale efficacia quando sono cotte, poiché perdono il potere astringente del loro succo. Inoltre le si applica sul petto nel caso di febbre alta, mentre contro il mal di stomaco si applicano, crude o cotte, alla maniera di un cerotto. La loro lanugine guarisce le bolle nere.
Cotte nel vino e in impacco con la cera fanno ricrescere i capelli. Alcuni le tritano in amalgama con un decotto di petali di rosa per le affezioni gastriche. Si dice che il loro fiore, sia fresco che secco, giovi per le infiammazioni degli occhi e per i dolori mestruali. Poi, pestandole con un vino dolce, si può trarre un liquore che fa bene al fegato.
Molto benefiche sono anche le mele orbicolate che arrestano la diarrea e il vomito e sono diuretiche.”
Si vede bene dunque come il detto “una mela al giorno toglie il medens di torno” fosse validi anche in epoca romana!!
Se siamo particolarmente abili con il tactus, proviamo a prendere in mano dei minuscoli semi di mela: con questi i Romani realizzavano delle singolari collane che venivano portate soprattutto dagli atleti.

Noi ne abbiamo realizzata una per voi:




La mela simbolo di...


La definizione botanica ufficiale di “mela” è “un falso frutto che non si apre spontaneamente per far uscire il seme, la cui parte carnosa deriva dalla parte rigonfia.”
La mela però nell’arco della storia e in tutte le culture ha sempre avuto un significato molto più ampio di questo.
Gli ebrei, durante il pranzo di Natale, mangiano fette di mele intinte nel miele, per assicurarsi la prosperità dell’anno nuovo.
Nella mitologia celtica, l'isola divina di Avalon prende il proprio nome dalle antiche leggende di queste terre che identificavano l’aldilà, la terra della pace e della serenità come Emain Ablach, ovvero “ un’ isola ricca di alberi di mele”. Nella tradizione biblica la mela,oltre a essere inserita per un errore di traduzione nel brano della genesi riguardante il peccato originale, è considerata anche immagine del paradiso.
Per la tradizione slava simboleggia invece la prosperità.
In Cina, la mela è associata alla tranquillità.
Nella mitologia baltica, la mela è il simbolo del sole al tramonto e una delle incarnazioni della dea Saule.
Nel nord Europa è il cibo degli dei e delle fate sotto forma di “wassail” (sidro bollito con spezie e mele intere).
Le mele d'oro del mito greco delle Esperidi, davano l’eterna giovinezza; come quelle custodite dalla dea scandinava Iduna.
Ringiovanire, è poi il significato della mela nel folklore russo.
Essa è inoltre l’immagine del potere e della sovranità.
Ecco perché a New York è stato attribuito il nome: “La grande mela”.
Quest’ ultima simbologia però, che trasforma la mela nel “frutto del potere”, pone le sue radici fin nell’epoca romana.
La sua forma sferica e la presenza, al suo interno, dei semi(simbolo della vita), hanno portato infatti all’ associazione della mela al cosmo e quindi al potere imperiale. Così nelle apparizioni pubbliche, gli imperatori reggevano solitamente con la mano destra lo scettro e con la sinistra la mela d’oro, ufficialmente allegoria del potere.
La mela è poi protagonista più di miti greci che di racconti autoctoni italici. Pensiamo, per esempio, alla leggenda di Aconzio e Cidippe: quest’ultimo, innamoratosi della giovane Cidippe, aveva scritto con la punta di un coltello sopra una mela cotogna la seguente frase: “Giuro sul tempio di Artemide di sposarmi con Aconzio”; quindi entrato nel santuario della dea dove si trovava la sua amata, lanciò il frutto verso Cidippe.
La ragazza, incuriosita, lesse a voce alta la frase, facendo così un involontario giuramento alla presenza della dea.
Non possiamo poi dimenticare la famosa atleta Atalanta,vinta nella corsa solo dal suo desiderio per delle mele d’ oro provenienti dal Giardino delle Esperiadi.
L’ idea di un melo che cresce in un giardino paradisiaco non è nuova: pensiamo al giardino dell'Eden o all’ isola celtica di Avalon.
Il giardino greco in particolare si dice accogliesse un albero di mele d’ oro dato in dono di nozze a Era e Giove da Gea, madre terra.
L’ immagine di un paradiso divino popolato da favolose mala aurea è sta trasmessa poi alla tradizione latina: basti pensare che il mito latino delle origine dell’ Urbs per eccellenza pone le sue radici nella guerra di Troia, quindi nel mito di Paride e della mela d’ oro. Quest’ ultima fu lanciata dalla dea della Discordia con un messaggio a dir poco pericoloso(“alla dea più bella”) durante il banchetto nuziale di Peleo e Teti, futuri genitori di Achille.
Per risolvere il litigio imminente tra Era, Afrodite e Atena, il padre degli dèi stabilì che a decidere chi fosse la più bella fosse il più bello dei mortali, cioè Paride, inconsapevole principe di Troia.
Il giovane, che viveva tra i pastori, si vide di fronte così tre ricompense offerte dalle tre dee in cambio della mela: Atena lo avrebbe reso sapiente e imbattibile in guerra; Era promise ricchezza e poteri immensi; ma solo Afrodite ebbe la meglio concedendo a Paride l'amore della donna più bella del mondo.
Questa era Elena, moglie di Menelao, re di Sparta, e questo causò la guerra di Troia e quindi la fuga del prode Enea e la conseguente fondazione di Roma.
Insomma c’è poco da obiettare: niente mela,niente Roma!!